Perché il dottorato e come è stato?
Il dottorato è stata una scelta obbligata, dal primo giorno di iscrizione al corso di fisica. Per indole sono una persona che cerca di arrivare al nocciolo delle questioni e per arrivare al nocciolo della questione delle questioni (l’origine dell’universo) non c’era altro modo se non svolgere un dottorato su temi cosmologici. È stato un momento di grande crescita personale da tutti i punti di vista. La tesi verteva su temi di astrofisica molto teorici, ma per fortuna gli aspetti computazionali e informatici legati alla ricerca e la pragmaticità del mio direttore di tesi mi hanno insegnato a lavorare in maniera molto concreta.
La scelta di Madrid come sede del dottorato poi è stata la ciliegina sulla torta, chupitos e movida hanno reso di sicuro più colorata e prestigiosa l’esperienza.
Perché hai lasciato l'accademia?
Per vari motivi. Uno, l’accademia non voleva me, o meglio, avrebbe richiesto troppi sforzi da parte mia per rimanervici. Poi perché avevo in parte perso interesse verso i temi di ricerca di cui mi occupavo (materia oscura ed energia oscura) e in ogni caso la prospettiva di "applicare" per posizioni di ricerca in giro per il mondo nella speranza di trovare un posto chissà dove e chissà quando era decisamente poco prestigiosa.
Avendo poi familiari, amici e Nanowar Of Steel (il gruppo di cui sono bassista) basati a Roma, il bisogno di rientrare in prossimità della capitale era diventato una scelta quasi obbligata e il modo più facile di procacciarsi un’occupazione full-time retribuita in moneta unica è quello di lavorare nel settore informatico, riciclando le conoscenze maturate in ambito di statistica, modellazione matematica e programmazione.
Com'è andata la fase di transizione?
Liscia come una superficie di un tavolo MELLTORP che possiede qualche piccolo graffio che si vede solo se ti avvicini da vicino.
Il tempo impiegato nell’ambito dell’astrofisica teorica e computazionale mi ha fornito delle basi solide di programmazione, statistica e analisi dati che hanno semplificato di molto la comprensione dei processi di apprendimento delle macchine (in lingua albionica Machine Learning) e dell’intelligenza artificiale.
Mentre passavo i mesi del lockdown italiano in un posto più civile dal punto di vista delle restrizioni (Belgrado) infatti, ho effettuato l’acquisizione di diverse certificazioni di Data Science, Machine Learning e intelligenza artificiale.
Forte delle mie nuove conoscenze, sono stato ingaggiato per un progetto di ricerca (formalmente presso l’Università di Gerusalemme) incentrato sull’utilizzo di suddette tecniche per lo studio dei dati delle simulazioni cosmologiche.
Questo lavoro di un anno, culminato con una pubblicazione (e altre due in preparazione) in realtà è stato fondamentale per maturare l’esperienza pratica necessaria che mi ha poi permesso di trovare un lavoro in azienda.
Com'è la giornata tipo nel tuo lavoro di oggi e a chi lo consiglieresti?
Da molti punti di vista non è cambiato molto, pur essendo dipendente di un’impresa privata lavoro pur sempre in un laboratorio di innovazione. Per cui in generale passo le prime ore della giornata leggendo newsletter, aggiornamenti e articoli scientifici su temi legati al mondo A.I. e Machine Learning, alla programmazione e agli algoritmi.
Spesso dedico qualche ora allo studio di linguaggi o pacchetti software nuovi oppure a seguire qualche corso online per ottenere delle certificazioni riguardo a tecnologie specifiche.
Una buona parte della giornata poi è dedicata allo sviluppo software, sia per effettuare "esperimenti" in ambito Data Science che per la realizzazione di librerie o pacchetti codice di uso più tradizionale.
Questa è per me la parte più frizzantina e divertente del mio lavoro, a cui a volte dedico volentieri tempo anche al di fuori degli orari lavorativi. Spesso mi capita di "fare le chiuse" per il puro gusto di vedere come riesco a migliorare le performance e l’addestramento di un modello o di una rete neurale.
Inevitabilmente la triade mortale "call su Zoom, Meet, Teams" fa capolino almeno 2 o 3 volte a settimana per qualche ora, ma sono momenti tutto sommato sostenibili in cui a volte incredibilmente emergono discorsi e considerazioni interessanti.
Che cosa hai imparato durante il dottorato che ti è utile oggi?
Ho imparato a programmare in vari linguaggi, ho imparato a imparare da solo (cercando paper e libri rilevanti per temi nuovi) e a presentare il mio lavoro in maniera organica, concreta e strutturata.
Soprattutto, l’esperienza nel mondo della ricerca mi ha insegnato a essere critico verso il mio lavoro, per cercare di individuare problemi logici, matematici o informatici e rendere i risultati solidi e credibili. È un modo carino di dire che ho imparato a rompere le scatole a me stesso e ai colleghi.
Ti penti di qualcosa in relazione al dottorato e alle scelte successive?
L’unica cosa di cui mi pento (ma più che un pentimento è un "accipicchia se solo ci avessi pensato prima sarebbe stato meglio, ma vabbè non è una tragedia") è non aver iniziato prima ad approfondire i temi del Machine Learning e dell’intelligenza artificiale.
Gli algoritmi alla base spesso sono relativamente semplici da un punto di vista matematico e statistico pur essendo spesso estremamente potenti in termini dei risultati che possono portare. Se avessi iniziato prima a studiarli di sicuro sarei stato più produttivo durante gli anni dei post-doc e avrei imparato prima a utilizzare termini trendy come "reti neurali", "training e validation", "regressione non lineare", "loss function" e "gradient boosting".
Quali consigli vorresti dare a chi sta affrontando il momento della transizione?
Se avete qualche mese, fatevi un bel viaggio lungo e poi prendetevi del tempo per approfondire temi più legati alla professione che vorreste fare in ambito non accademico.
E ascoltate i Nanowar Of Steel che qualche stream in più potrebbe aiutarmi a fare la transizione definitiva verso il mondo della musica full-time.
Photo credit: VALERIO FEA