STORIE ANFIBIE

 

Una rubrica di racconti personali sulla transizione dall'accademia all'impresa, per sfatare il mito che il PhD sia un pesce buono solo per nuotare nell'habitat universitario: i dottori di ricerca sono anfibi e possono respirare fuori, sulla terraferma del mondo aziendale, proprio come respiravano dentro le acque della ricerca.

 

 

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21
Ottobre

Storie Anfibie

MARCO PALEARI | Informatica

21 Ottobre 2022

Technology Transfer Manager

Dopo una doppia laurea italo-francese in Ingegneria delle Telecomunicazioni e in Informatica, Marco acquisisce nel 2009 un dottorato di ricerca sui temi dell’intelligenza artificiale e dell’Affective Computing presso Telecom ParisTech. Nel 2010 ritorna in Italia per lavorare presso l'Istituto Italiano di Tecnologia, occupandosi di progetti di ricerca applicata su diverse tematiche, dalla robotica spaziale a uso umano, alla riabilitazione, dal Machine Learning alla Computer Vision e all’elettrofisiologia. Nel 2018 inizia a collaborare con Find Your Doctor come consulente scientifico. Nel 2021, mettendo a frutto le sue competenze orizzontali e di gestione di progetto, la collaborazione si estende al coordinamento di diversi progetti di consulenza e formazione, con un particolare focus su IoT, meccatronica, Data Analysis e Machine Learning.

 

Perché il dottorato e come è stato?

Onestamente, mi sono "imbattuto" nel dottorato un po' per caso; mi è sempre piaciuto insegnare e già al terzo anno al Politecnico seguivo i laboratori di fisica e informatica per gli studenti più giovani ma, come tutti i ragazzini, pensavo che avrai fatto l'astronauta e non avevo mai pensato seriamente a una carriera accademica.
Nel 2004 sono andato in Francia per una doppia laurea; in quegli anni, nell'università dove sono andato a studiare, c'era una professoressa americana che insegnava Affective Computing. Questa strana materia a cavallo fra psicologia, fisiologia e informatica mi ha affascinato e incuriosito da subito: è soprattutto la curiosità quindi, più che la possibilità di avviarmi a una carriera di insegnamento universitario, che mi ha portato a fermarmi là per un tirocinio e per il dottorato.


Perché hai lasciato l'accademia?

Dopo il dottorato ho deciso di tornare in Italia; in Costa Azzurra si vive bene, ma non volevo passare all'estero il resto della vita e temevo che non sarei più riuscito a tornare una volta assaggiato il "frutto proibito" del salario all'estero. Ho pensato all'accademia in Italia, ma in università la strada da "straniero" ed "esterno" sulla mia tematica di studio sarebbe stata tutta in salita.
In quegli anni nasceva però, a Genova, la fondazione Istituto Italiano di Tecnologia con l'obiettivo di colmare il divario fra accademia e industria. La vision mi è subito piaciuta: l'ho fatta mia e sono andato a lavorare con loro. In effetti, a distanza di anni e dopo aver ricoperto diverse posizioni lavorative, la sento ancora mia.

Com'è andata la fase di transizione?

So che, per molti, la transizione è vissuta come un passaggio traumatico. Per me non è stato così: io ho vissuto la mia transizione in modo molto tranquillo. A onor del vero però, la mia transizione è stata molto graduale e, a dirla tutta, non sono sicuro di essere completamente estraneo al mondo dell'accademia.


Com'è la giornata tipo nel tuo lavoro di oggi e a chi lo consiglieresti?

In Find Your Doctor, praticamente ogni giorno faccio meeting coi clienti per cercare di capire quali siano le loro necessità R&D e con ricercatori per capire se possano rispondere alle domande delle aziende; raramente quel ricercatore sono io. Qualche volta lavoro all'ottimizzazione dei nostri processi aziendali o alla ricerca di nuovi clienti.
La cosa bellissima del mio lavoro è che quasi ogni giorno imparo qualche cosa di nuovo su un tema che fino al giorno prima mi era decisamente estraneo (grossomodo sono un ingegnere informatico ma seguo progetti che vanno dall'ambito legale alla chimica).
Consiglierei il mio lavoro a chiunque nel CV come prima caratteristica scriverebbe "curioso" e che desideri fare il Project Manager (o sinonimi). Tecnicamente, credo si adatti bene a un PhD qualunque, d'altra parte la "filosofia" (da cui Philosophiæ Doctor) è proprio l'amore per la conoscenza, ma ammetto che la pragmaticità dello "specialista dell'ingegno" può aiutare per orientarsi in un mondo sempre più digitale e tecnologico.


Che cosa hai imparato durante il dottorato che ti è utile oggi?

Di tutto: le basi teoriche di psicologia, fisiologia, robotica e informatica che mi hanno formato come la persona che sono adesso; le lingue che ho imparato essenzialmente per poter comunicare i miei risultati alla professoressa americana e ai colleghi francesi; l'arte di arrangiarsi (la mia professoressa lasciò l'università durante il mio secondo anno di dottorato) e di analizzare i dati per prendere decisioni (il più possibile) consapevoli. Il dottorato, per me, è stato un periodo molto florido dal punto di vista intellettuale, professionale e personale; la persona che sono è sicuramente stata molto influenzata a 360 gradi da quel periodo.
Oggigiorno mi occupo di trasferimento tecnologico; molto di quello che faccio consiste nel capire le esigenze del cliente, nel riuscire rapidamente a farmi un'idea di quali possano essere i principali problemi tecnici e a identificare le figure che potrebbero trovare la soluzione. Il dottorato mi ha insegnato tante cose ma soprattutto a cercare punti di riferimento su tematiche nuove che mi hanno permesso di navigare nella giusta direzione anche in mari sconosciuti.


Ti penti di qualcosa in relazione al dottorato e alle scelte successive?

A giorni alterni; alle volte vedo i miei compagni di università con stipendi a sei cifre e rimpiango di non aver seguito la loro strada ma, in generale, sono felice di dove sono e di come ci sono arrivato. Col senno del poi, potendo scegliere avrei anticipato la transizione lavorativa, ma non ho mai rimpianto di aver scelto di fare il dottorato.


Quali consigli vorresti dare a chi sta affrontando il momento della transizione?

Di base, vorrei dire loro che non serve aver paura, che il cambiamento è quasi sempre per il meglio e che un lavoro quasi mai è per sempre. Essenzialmente, caro lettore, se stai pensando a uscire dall'accademia, al 99,9% il passaggio è inevitabile! Inutile rimuginarci sopra, buttati! Potrebbe essere più divertente di quanto non immagini!
Detto questo, passare all'industria dall'accademia non è molto diverso rispetto a cambiare gruppo e tematica di ricerca (e chi ti dice che non si può tornare indietro mente).