STORIE ANFIBIE

 

Una rubrica di racconti personali sulla transizione dall'accademia all'impresa, per sfatare il mito che il PhD sia un pesce buono solo per nuotare nell'habitat universitario: i dottori di ricerca sono anfibi e possono respirare fuori, sulla terraferma del mondo aziendale, proprio come respiravano dentro le acque della ricerca.

 

 

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29
Novembre

Storie Anfibie

DANILO MADDALO | Biologia Molecolare

29 Novembre 2021

Group Leader

Nato a Salerno, ha completato il dottorato di ricerca in Germania presso il Karlsruhe Institute of Technology (KIT) in Biologia Molecolare e Biochimica, finanziato da una borsa di studio Marie Curie. Subito dopo il conseguimento del PhD, ha aperto il suo primo laboratorio di ricerca nello stesso istituto, per poi specializzarsi ulteriormente in editing genomico (CRISPR/Cas9) e genetica a New York. Da qui il passaggio in industria, dirigendo un laboratorio di ricerca dapprima presso Novartis e poi Roche, in Svizzera. Attualmente è Group Leader presso Roche/Genentech a San Francisco, dove si occupa principalmente dello sviluppo di nuovi farmaci e dell’applicazione delle tecniche di editing genomico per l’identificazione di nuovi target farmacologici in oncologia.

 

Perché il dottorato e come è stato?

La mia scelta di fare un dottorato in Biologia Molecolare dopo aver studiato Chimica Farmaceutica è stata influenzata da tre fattori principali. Innanzitutto il traguardo storico che la scienza aveva raggiunto durante il mio percorso di studi, cioè il completamento del Progetto Genoma che ambiva a sequenziare tutto il patrimonio genetico umano. Secondo, avere un fratello che studiava biotecnologie: una continua fonte di ispirazione. Terzo, la frequentazione dell’istituto Telethon di Napoli per la mia tesi di laurea: una palestra scientifica di altissimo livello e una famiglia dal punto di vista umano. In quel contesto ho pensato: i farmaci del futuro saranno basati sulla genetica e sulla biologia molecolare, sarebbe interessante approfondire l’argomento.
Ho quindi deciso di "applicare" per un programma di dottorato finanziato dall'Unione Europea presso un istituto tedesco. Il primo impatto non è stato sicuramente facile: culture molto diverse e paesaggi drasticamente cambiati (e poi l’Italia aveva appena vinto i mondiali in Germania, quindi erano sicuramente un po’ arrabbiati...). Tuttavia, dopo una prima fase di adattamento, ho saputo apprezzare al meglio quanto la Germania e l’Unione Europea potessero offrirmi in termini di opportunità: una comunità scientifica trasversale, esposizione a diversi progetti di ricerca e un gruppo di giovani scienziati come me che poi sono diventati anche miei amici. Sono stati anni di duro lavoro, durante i quali ho imparato tantissimo e ho sviluppato principi di resilienza ed etica lavorativa che porto ancora con me.


Perché hai lasciato l'accademia?

Ho sempre desiderato sviluppare nuovi farmaci che avessero un impatto diretto sui pazienti, soprattutto in campo oncologico: questa onerosa missione è sostenibile solo da compagnie farmaceutiche organizzate e ben strutturate. Detto ciò, come molte cose nella vita, il passaggio è avvenuto in realtà in modo del tutto casuale. Avevo appena pubblicato un articolo sull’applicazione della tecnologia CRISPR in vivo e stavo considerando diverse opportunità nel mondo accademico per avviare il mio gruppo di ricerca: un processo lungo, dove molte parti devono incastrarsi in modo perfetto e dove la ricerca di nuovi fondi è un'attività continua ed estenuante.
A una conferenza a Philadelphia ho incontrato per caso i manager di alcune compagnie farmaceutiche e ho deciso di ascoltare le loro proposte. Diversi elementi hanno fatto la differenza nella scelta finale: la rapidità con cui le offerte sono state formulate, la possibilità di fare ricerca di qualità senza dover inseguire il prossimo grant e la diretta traslazione delle mie scoperte nel campo terapeutico.

Com'è andata la fase di transizione?

Come tutte le transizioni, il passaggio accademia-azienda ha presentato alcune difficoltà di adattamento. Dopotutto era il primo vero "lavoro", con una struttura ben definita e dei compiti precisi.
Paradossalmente, per prima cosa ho dovuto adattarmi a un lavoro dove il bilanciamento con la vita privata è tenuto molto in considerazione. Quindi il lavoro è molto focalizzato durante un periodo limitato rispetto alle lunghe ore passate in laboratorio. Inoltre, lo sforzo è distribuito in modo collettivo, cioè ho dovuto imparare a lavorare in gruppi molto ampi, con persone con conoscenze molto diverse dalle mie. Questo ultimo aspetto ha richiesto lo sviluppo di capacità comunicative sia a livello professionale che interpersonale.


Com'è la giornata tipo nel tuo lavoro di oggi e a chi lo consiglieresti?

Le mie giornate tipo sono state fortemente condizionate dalla pandemia: nella maggior parte dei casi utilizzo il telelavoro per poter partecipare alle riunioni (sono sicuro che in futuro questo cambierà almeno in parte e che potrò essere presente ad alcuni degli incontri). Nella sostanza le riunioni a cui partecipo sono molto varie e coprono diversi argomenti, quindi non ci si annoia mai! Almeno una volta alla settimana incontro i miei collaboratori per fare il punto della situazione e per discutere di come sviluppare la loro carriera lavorativa. Altre volte partecipo a riunioni di carattere più generale per decidere con altri gruppi di lavoro quali azioni intraprendere in base a nuovi dati, sia al livello preclinico che clinico. Altre volte ancora parlo con istituzioni accademiche per intavolare collaborazioni.
A periodi di intenso lavoro, di solito alterno periodi di carico inferiore, in modo da poter ricaricare le energie. Ci sono anche momenti in cui festeggiamo dei traguardi raggiunti (piccoli o grandi che siano), il lato umano conta quanto quello professionale.
Consiglio questo lavoro agli scienziati a cui piace lavorare in gruppo e a chi e a chi è incuriosito da diversi aspetti della scienza, dalla biologia alla chimica, dalla genetica alla farmacologia.


Che cosa hai imparato durante il dottorato che ti è utile oggi?

Il dottorato mi ha insegnato molte cose di cui ho fatto tesoro e che uso ancora oggi. Innanzitutto ha strutturato la mia etica lavorativa, basata su un'analisi oggettiva e critica dei dati. Inoltre ha sviluppato il mio senso di perseveranza e resilienza, che mi permettono di superare i momenti più difficili. Grazie al dottorato ho anche avuto la possibilità di partecipare a diverse conferenze scientifiche, avendo quindi occasione di conoscere altri scienziati e visitare nuovi luoghi. Infine, al di là della scienza, questa esperienza mi ha insegnato ad apprezzare diversi punti di vista e culture, facendomi sentire arricchito da essi.


Ti penti di qualcosa in relazione al dottorato e alle scelte successive?

No. Il dottorato è stato un'esperienza formativa unica, sia a livello umano che professionale. Tutte le scelte che ne sono derivate mi hanno consentito di vedere diverse parti del mondo, di lavorare in diversi laboratori e di contribuire a progetti di ricerca estremamente interessanti.
Tutto quello che ho imparato durante e dopo il dottorato, compresi tutti gli errori commessi e gli insuccessi, mi hanno consentito di essere dove sono ora.


Quali consigli vorresti dare a chi sta affrontando il momento della transizione?

A chi sta cercando di fare il salto, consiglio di non demoralizzarsi di fronte ai rifiuti: la vostra occasione prima o poi arriverà con un po’ di fortuna e con un po' di networking.
A chi ha appena iniziato il suo primo lavoro post accademico, consiglio di non temere il cambiamento, di cercare di assimilare tutte le novità con apertura mentale e nello stesso tempo di non dimenticare quanto imparato nelle esperienze precedenti.
Inoltre, un po’ di ansia e disorientamento iniziali sono del tutto normali! Le opportunità che vi aspettano in ambito extra-accademico sono numerosissime e davvero molto interessanti.