STORIE ANFIBIE

 

Una rubrica di racconti personali sulla transizione dall'accademia all'impresa, per sfatare il mito che il PhD sia un pesce buono solo per nuotare nell'habitat universitario: i dottori di ricerca sono anfibi e possono respirare fuori, sulla terraferma del mondo aziendale, proprio come respiravano dentro le acque della ricerca.

 

 

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25
Marzo

Storie Anfibie

FABIO LISI | Chimica

25 Marzo 2021

Startupper

Originario di Lajatico (Pisa), dopo una laurea specialistica in Scienza dei Materiali all'Università di Pisa, Fabio si è trasferito a Melbourne (Australia) dove ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Chimica nel 2016. Il progetto di dottorato, nato da una collaborazione tra la University of Melbourne e il Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation (CSIRO), era rivolto allo sviluppo di un biosensore per la rilevazione del virus Hendra. Mosso dal desiderio di trasferire la sua ricerca di dottorato dal laboratorio a un prodotto commerciale, nel 2016 Fabio co-fonda Radetec Diagnostics, una start-up con sede a Melbourne che ha l'obiettivo di sviluppare test diagnostici rapidi per le malattie sessualmente trasmissibili e, più recentemente, COVID-19.

 

Perché il dottorato e come è stato?

Sono stato appassionato di materie scientifiche sin dall'infanzia, e ricordo ancora quando mio nonno, viticoltore di professione, mi spiegava il processo di fermentazione che trasforma l'uva in vino. Ho coltivato questa passione frequentando il liceo scientifico e, successivamente, conseguendo una laurea triennale in Chimica Industriale e una laurea specialistica in Scienza dei Materiali.
Il punto di svolta è stato quando, durante il tirocinio conclusivo della mia laurea triennale, mi sono spostato a Porto Marghera per lavorare in un centro di trasferimento tecnologico chiamato Civen. Lì conobbi il dottor (adesso professore) Paolo Falcaro che, con il suo entusiasmo e competenza, mi fece innamorare della professione del ricercatore. Fu quindi con grande entusiasmo che due anni più tardi seguii Paolo in Australia, dove nel frattempo si era trasferito per lavorare alla Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation (CSIRO) a Melbourne (CSIRO è simile al nostro CNR). Alla CSIRO completai il tirocinio della mia laurea specialistica, maturando esperienza con vari tipi di materiali nanostrutturati e tecniche di caratterizzazione.
Dopo la laurea specialistica decisi di candidarmi per un innovativo programma di dottorato, gestito dal Melbourne Materials Institute (MMI), dove i progetti erano collaborazioni tra la University of Melbourne e la CSIRO, con un supervisore in entrambe le organizzazioni. Il mio supervisore alla CSIRO era nuovamente Paolo, mentre all’University of Melbourne era il Prof. Paul Mulvaney. Il progetto riguardava lo sviluppo di un biosensore per la rilevazione del virus Hendra, un pericoloso virus diffuso in alcune parti dell’Australia. Hendra è un virus che principalmente attacca i cavalli, ma che può anche essere trasmesso all’uomo, con mortalità rispettivamente del 75% e 60%.
Riuscire a gestire due supervisori e far parte di due gruppi di ricerca in due zone diverse della città non fu semplice all’inizio, ma ebbi la fortuna di avere accesso a una grande varietà di strumenti scientifici e di allargare molto il mia rete di conoscenze. Durante il dottorato imparai molte cose a livello tecnico-scientifico e iniziai a interessarmi a come poter trasformare la mia ricerca in qualcosa di concreto, in un prodotto. La University of Melbourne aveva un incubatore di start-up e iniziai ad andare agli eventi e ai pitch (ovvero le presentazioni delle start-up) che erano aperti al pubblico. Fu attraverso questi eventi che incontrai John, un altro studente di dottorato nel dipartimento di Chimica. John aveva il sogno di aprire una sua ditta per commercializzare tecnologie ed entrambi eravamo d’accordo sul fatto che il campo dei biosensori era particolarmente importante e poteva essere una buona area su cui lavorare. Fu così che nel 2016, dopo la fine del nostro dottorato, fondammo con un terzo amico, Lee, Radetec Diagnostics.


Perché hai lasciato l'accademia?

L’obiettivo di Radetec Diagnostics era quello di sviluppare un biosensore veloce e portatile per malattie sessualmente trasmissibili. Il processo di rilevazione si basava su particelle fluorescenti chiamate “quantum dots” e ricoperte di anticorpi, che avevo imparato a produrre lavorando sul mio biosensore per il virus Hendra. Un’altra componente essenziale del test erano delle strisce di materiale poroso (le stesse usate nei test di gravidanza) di cui John era esperto. Lee, laureato in Economia e Commercio, forniva supporto amministrativo.
Il primo anno di Radetec fu particolarmente difficile dato che non avevamo nessun finanziamento e riuscimmo a proseguire nel nostro solo grazie all’aiuto di Paul, il mio supervisore di dottorato, che credeva molto nel progetto. Iniziammo a fare molti pitch per farci conoscere e attrarre finanziamenti, finalmente vincendo alcuni premi in denaro nel 2017 e 2018.
Nel 2019 riuscimmo a entrare in un importante acceleratore di start-up australiano chiamato MedTech Actuator, che ci garantì il nostro primo vero finanziamento e contribuì molto a espandere il nostro network. Il secondo finanziamento è arrivato nel 2020, dove abbiamo anche iniziato a lavorare su un biosensore per il COVID-19, anch’esso basato sulle stesse particelle fluorescenti e strisce porose (ma diversi anticorpi). Con quest’ultimo finanziamento siamo riusciti ad aprire un piccolo laboratorio a Melbourne in cui facciamo ricerca e sviluppiamo il nostro biosensore.
La mia avventura con Radetec non è però stata la fine della mia carriera accademica. Ho infatti avuto la fortuna di poter continuare a far ricerca e migliorare la mia conoscenza su biosensori e nanomateriali. Nel 2016, finto il dottorato, sono tornato in Italia all’Università di Pisa, dove per un breve periodo sono stato nel gruppo del Prof. Fabio Di Francesco, un esperto nel campo dei biosensori. Nel 2017 sono poi tornato in Australia, a Sydney, per un post-doc alla University of New South Wales (UNSW), nel gruppo del Prof. Justin Gooding, un altro esperto internazionale nel campo dei biosensori e nanomateriali. Nel 2020 mi sono spostato ancora, nel gruppo del Prof. Rona Chandrawati (UNSW), a lavorare su materiali nanostrutturati per applicazioni biomediche.
Ho recentemente vinto una borsa della Japan Society for the Promotion of Science (JSPS) per fare ricerca alla University of Tokyo in Giappone, dove mi sono trasferito a gennaio 2021.


Com'è andata la fase di transizione?

Nel mio caso la difficoltà maggiore è stata nel cercare di fare due cose, ricerca e start-up. Ci sono stati momenti in cui nessuna delle due stava andando bene, in cui mettevo in dubbio le mie decisioni. Molto importante per andare avanti è stato il supporto di persone che credevano in me, ed avere altri due co-fondatori nella start-up. Ci siamo supportati a vicenda: quando uno di noi era un po’ pessimista, gli altri riuscivano a mettere più impegno ed energia per compensare.
Un’altra cosa molto importante per la start-up è stata la rete di persone che sono riuscito a creare durante il mio dottorato e dopo. Ho conosciuto molti ricercatori che lavorano nelle aree più diverse, ma anche dottori, rappresentanti, investitori, direttori d’azienda, consulenti, ecc. durante gli eventi a cui sono andato. Parlando con queste persone (e leggendo molto) sono riuscito a imparare l’essenziale di tutte quelle componenti che sono necessarie a una start-up biomedica: strategia di vendita, marketing, amministrazione, conformità normativa, studi clinici, ecc. Alcune di queste persone che ho conosciuto sono poi diventate dei mentori disponibili a darmi consigli.
In questa fase di apprendimento, mi sono reso conto che ci sono molte somiglianze tra ricerca e start-up, e le competenze trasversali (soft skills) che ho sviluppato come ricercatore possono essere trasferite in questo nuovo contesto. Come ricercatore, il mio compito è di pianificare esperimenti per testare se la teoria che ho in mente è vera o no. Come fondatore di start-up, ho dovuto intervistare possibili clienti per cercare di capire se il nostro prodotto aveva un mercato o no. In entrambi i casi ho dovuto testare delle ipotesi. Inoltre, sia come ricercatore che come fondatore di start-up, il mio obiettivo è di avere un impatto sulla società. In ricerca, questo è solitamente raggiunto introducendo nuove idee che muovono il campo di ricerca in avanti e producono nuove tecnologie. In maniera simile, una start-up cerca di introdurre un nuovo prodotto o servizio che possa soddisfare uno specifico bisogno delle persone.


Com'è la giornata tipo nel tuo lavoro di oggi e a chi lo consiglieresti?

La mia giornata tipo dipende dal periodo dell’anno e dal carico di lavoro. A grandi linee, mi sveglio alle 7 circa, faccio attività fisica e vado all’università, dove cerco di iniziare a lavorare entro le 8:30. Solitamente lascio l’università alle 18 circa, vado a casa e preparo la cena. Dopo cena solitamente lavoro per la mia start-up.
Fare entrambe le cose richiede molto tempo e lo consiglierei solamente a chi ha abbastanza energia e determinazione per continuare a lavorare dopo una normale giornata di lavoro.


Che cosa hai imparato durante il dottorato che ti è utile oggi?

Durante il dottorato ho aumentato molto le mie conoscenze scientifiche, che mi sono utili nella mia attività di ricerca e per la mia start-up. In particolare, credo di aver affinato molto il mio metodo scientifico, le mie capacità di analisi e la mia abilità di pensare e di testare ipotesi in maniera metodica. Molto importante per il mio lavoro attuale è anche la capacità di scrivere e comunicare. Scrivere articoli scientifici mi ha aiutato a scrivere testi ben strutturati e saper sintetizzare una vasta quantità di informazioni in un testo relativamente facile da seguire. Presentare la mia start-up mi ha inoltre fatto capire l’importanza della narrativa, della "storia", quando si comunica qualcosa a un pubblico non tecnico.
Infine, ma non meno importante, ho imparato quanto è importante parlare con molte persone per costruirsi una rete di collaboratori, potenziali clienti/investitori ed esperti in vari settori.


Ti penti di qualcosa in relazione al dottorato e alle scelte successive?

Non mi pento di alcuna scelta specifica, ma talvolta penso che durante il mio dottorato avrei potuto essere più produttivo se non avessi disperso le mie energie su troppi progetti. Credo di aver imparato da questo errore e adesso sono più attento e consapevole quando scelgo come utilizzare il mio tempo.


Quali consigli vorresti dare a chi sta affrontando il momento della transizione?

Come prima cosa, credo sia importante essere positivi e credere in sé stessi. Il dottorato è molto formativo e non dovremmo aver paura di non essere "bravi abbastanza".
Se senti un certo interesse verso campi diversi dalla ricerca (per esempio gestire progetti, scrivere brevetti, creare start-up, ecc.), un altro consiglio è quello di iniziare a preparare la transizione il prima possibile. Segui dei corsi, vai a dei seminari, parla con persone, ecc. Inizia con largo anticipo a creare delle conoscenze e qualche forma di esperienza nel campo in cui ti vuoi muovere. In questo modo, quando verrà il momento di preparare una domanda di lavoro, anche se non hai esperienza lavorativa diretta potrai sempre dire che hai studiato o hai esperienza autonoma.