Perché il dottorato e come è stato?
Potrà sembrare strano ma la mia carriera accademica è arrivata in modo un po’ “involontario”, passo per passo, seguendo la spinta della curiosità più che un particolare obiettivo o un sogno. Vista la mia buona manualità, finite le superiori, mi sarebbe piaciuto fare il chirurgo ma, data l’eccessiva lunghezza del percorso di studi, ho scelto di iscrivermi a Ingegneria dei Materiali, con l’idea iniziale di portare a termine la triennale. Una volta finiti i primi tre anni mi sono chiesto: “Perché non andare avanti e fare anche la magistrale?”.
Dopo la tesi magistrale si è quindi presentata la possibilità del dottorato: ci ho provato, un po’ perché la scienza applicata cominciava a piacermi e un po’ per vedere come sarebbe andata. Come quasi tutti i dottorandi, ho avuto momenti di grande soddisfazione ma anche di grande sconforto e frustrazione, soprattutto per quanto riguarda i rapporti con le persone, l’urgenza di pubblicare e il confronto con le persone “normali”, che alla mia età sembravano già avere una vita più tranquilla e definita e una carriera affermata. Facendo un bilancio, direi però che l’esperienza è stata positiva: il dottorato mi ha infatti permesso di sviluppare, oltre alla capacità di portare avanti una ricerca in uno specifico ambito, quelle che vengono definite soft skills.
Perché hai lasciato l'accademia?
Dopo il dottorato ho lavorato per tre anni come assegnista di ricerca post dottorato presso il CNR (Istituto di Fotonica e Nanotecnologie di Padova) con il dott. Stefano Bonora, al quale devo molto per tutto ciò che ho imparato in quel periodo. Il lavoro era bello e stimolante, ma ero lontano da casa e sentivo che prima o poi avrei voluto cambiare, per provare a intraprendere un’avventura che fosse “tutta mia”. Per questo la scelta della liuteria, che era la mia passione da una decina d’anni e per la quale avevo sempre avuto troppo poco tempo.
Com'è andata la fase di transizione?
È stata sicuramente ricca di soddisfazioni perché finalmente stavo facendo quello che volevo. Ci sono state però anche tante incertezze, specialmente perché è arrivata la pandemia, stroncando o costringendomi a rimandare a data indefinita molti progetti, incontri e presentazioni che, per il mio lavoro, sono di fondamentale importanza. Finalmente, a giugno 2020, sono riuscito a dare un avvio ufficiale alla mia attività, aprendo la partita IVA. Nel momento in cui scrivo ho avuto un incarico di insegnamento presso la Civica Scuola di Liuteria di Milano. Insomma, con un po’ di ironia, posso dire che la transizione è avvenuta ma devo ancora capire a cosa sto andando incontro.
Che cosa hai imparato durante il dottorato che ti è utile oggi?
Quando parlo del mio lavoro di liutaio e, in particolare, dell’aspetto scientifico e di ricerca al quale sono molto legato e dedico molto tempo, spesso gli interlocutori sono piacevolmente sorpresi di scoprire che non tutto ciò che ho studiato è buttato. In realtà praticamente tutto ciò che ho imparato durante il dottorato e il mio percorso accademico mi è di enorme utilità. Non solo mi permette di condurre in autonomia scelte progettuali e ricerche specifiche, ma, soprattutto, mi permette di considerare il mio lavoro da una prospettiva più ampia e distaccata, al di sopra dei singoli problemi che incontro via via. Anche le soft skills sono utilissime: saper organizzare e presentare il proprio lavoro e quello degli altri, interloquire con le persone, parlare e scrivere in inglese. Tutte capacità apparentemente scontate ma che l’esperienza accademica mi ha permesso di affinare e che ora sono pronte da usare.
Ti penti di qualcosa in relazione al dottorato e alle scelte successive?
Durante il dottorato, in alcuni momenti di particolare difficoltà o frustrazione, mi è capitato di pentirmi di aver iniziato, pensando che mi sarei trovato subito bene in qualunque altro contesto che non fosse quello.
Oggi, a distanza di qualche anno, non mi pento delle scelte che ho fatto. Nonostante gli alti e bassi, è stata un’esperienza positiva, che mi ha permesso di crescere come persona anche affrontando difficoltà che, probabilmente, avrei comunque incontrato sul mio percorso.
Quali consigli vorresti dare a chi sta affrontando il momento della transizione?
Di non avere paura e provare a fare le cose che più ci piacciono con tutto l’impegno possibile.
Pochi giorni fa ho ascoltato per caso una vecchia intervista a Gianni Rodari. Alla domanda in cui gli si chiedeva se consigliasse il mestiere dello scrittore, lui risponde così: “Io ho fatto tanti lavori e ho imparato questo: ti capita di fare quella cosa lì? Falla bene. Qualche cosa ne uscirà!”