STORIE ANFIBIE

 

Una rubrica di racconti personali sulla transizione dall'accademia all'impresa, per sfatare il mito che il PhD sia un pesce buono solo per nuotare nell'habitat universitario: i dottori di ricerca sono anfibi e possono respirare fuori, sulla terraferma del mondo aziendale, proprio come respiravano dentro le acque della ricerca.

 

 

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02
Settembre

Storie Anfibie

LAURA COLLICA | Fisica delle Particelle

02 Settembre 2020

Product Manager

Laura ha conseguito il dottorato internazionale in Fisica e Astrofisica presso l’Università degli Studi di Milano e l’Université Paris Diderot nel novembre 2014. A seguito del dottorato, ha proseguito la carriera accademica con due assegni di ricerca specializzandosi in analisi statistiche avanzate sui dati acquisiti dall’osservatorio Pierre Auger e dall’esperimento Borexino, quest’ultimo dedicato alla ricerca sperimentale sui neutrini solari. A causa della mancanza di prospettive concrete di carriera in università, a fine 2017 Laura ha intrapreso un nuovo percorso in azienda, in particolare nell’ambito dell’industria IT e dello sviluppo software. Al momento ricopre la posizione di Product Manager del team di Data Science di Fiat Chrysler Automobiles a Torino, coordinando progetti innovativi che sfruttano metodi di Machine Learning e Intelligenza Artificiale per migliorare le performance dei processi aziendali.

 

Perché il dottorato e come è stato?

Appassionata di fisica delle particelle fin dal liceo, durante il percorso di laurea ho cercato appena possibile di cimentarmi nella fisica sperimentale. Dopo una prima esperienza al Laboratorio di Energia Nucleare Applicata a Pavia, ho potuto svolgere l’attività di tesi magistrale al CERN di Ginevra prendendo parte a un progetto di ricerca e sviluppo svolto presso l’acceleratore. Per un anno partecipai attivamente sia ai turni di acquisizione dati che alle analisi e rimasi così entusiasta del mondo della ricerca che non ebbi dubbi sul proseguire con un dottorato.
Volendo rimanere in Italia ma col desiderio di trascorrere un periodo all’estero, scelsi un percorso internazionale e trovai il mio posto ideale a Milano all’interno del gruppo di ricerca dell’osservatorio Pierre Auger, il più grande rivelatore di raggi cosmici al mondo, situato nella pampa argentina. Nonostante i ritmi di lavoro molto pesanti, i 3 anni di dottorato furono bellissimi: grazie agli innumerevoli viaggi di lavoro, ai turni ai telescopi e alla collaborazione con scienziati di tutto il mondo (la collaborazione Auger conta più di 500 membri da 17 nazioni diverse) ho acquisito tantissime conoscenze e competenze sia a livello professionale che personale. L’esperienza del dottorato è quindi stata per me di grande valore.


Perché hai lasciato l'accademia?

Durante il dottorato, complice la giovinezza, vivevo serenamente nel presente pensando solo alle mie analisi e alle conferenze a cui partecipare. Dopo aver vinto la prima borsa di postdoc, iniziai però a informarmi sulle prospettive di carriera universitaria e capii che la situazione era tutt’altro che rosea. Le borse di post dottorato possono essere utilizzate solo per alcuni anni e poi si devono vincere i concorsi per posti a tempo determinato o indeterminato che però non escono tutti gli anni e che spesso usano criteri di valutazione distanti dalle reali capacità del ricercatore. In aggiunta a ciò, viene data per scontata la disponibilità di trasferirsi di città ogni paio d’anni in base all’ateneo dove viene aperta la posizione.
Quando realizzai che il sistema non sarebbe cambiato e che alle conferenze si finiva sempre col lamentarsi tra colleghi della precarietà della ricerca, decisi che era arrivato il momento di iniziare una carriera determinata dalle mie capacità e non da fattori aleatori o fuori dal mio controllo. La decisione non fu presa a cuor leggero, visti i sacrifici fatti negli anni: necessitai di parecchi mesi per metabolizzarla e sicuramente il desiderio di mettere radici in una città giocò un ruolo determinante.


Com'è andata la fase di transizione?

Bene, nonostante il cambio radicale! Il mio primo lavoro infatti consistette nel ruolo di analista di business in un’azienda italiana che fornisce soluzioni IT alle banche. Entrata in corsa su progetti che prevedevano l’adeguamento di alcuni portali bancari alla direttiva europea MIFID II, nel giro di pochi giorni ho dovuto cambiare completamente approccio e linguaggio ma sono riuscita ad adattarmi bene al nuovo ambiente grazie anche al supporto dei nuovi colleghi. Ho infatti avuto la fortuna di iniziare il nuovo percorso in un’azienda dove lavorano molti ex fisici, che non avevano quindi pregiudizi sul mio dottorato ma che anzi lo consideravano un valore aggiunto. Inoltre, l’assenza di competizione tra colleghi mi mise subito a mio agio: dopo anni caratterizzati da rivalità e ostracismi, l’atmosfera serena e di collaborazione che avevo trovato mi rese ancor più soddisfatta della decisione presa. Lo scoglio più grande che dovetti affrontare fu imparare a interagire coi clienti, ma anche lì venni aiutata dalla mia responsabile e presto riuscii a instaurare una comunicazione efficace e basata sulla reciproca fiducia.
Passato un anno ad analizzare processi e coordinare progetti di IT tradizionale, iniziai a sentire la mancanza dell’analisi dati, ma nel giro di qualche mese si presentò l’occasione giusta e avendo acquisito competenze di project management riuscii ad essere assunta come Product Manager di un team di data science, il mio attuale lavoro.


Che cosa hai imparato durante il dottorato che ti è utile oggi?

Moltissime cose! Grazie al dottorato internazionale parlo fluentemente sia l’inglese che il francese e ho maturato la capacità di parlare in pubblico e di spiegare concetti difficili in modo semplice, così da permetterne la comprensione anche a coloro che non possiedono un profilo scientifico. Il dottorato mi ha fornito il metodo e la forma mentis necessari per valutare la bontà di metodi di analisi che mi vengono proposti e per pensare fuori dagli schemi, entrambi aspetti fondamentali nel mondo dell’innovazione aziendale.
Credo inoltre che l’abitudine a descrivere i risultati delle mie ricerche davanti a centinaia di ricercatori (premi Nobel inclusi!) mi ha permesso di acquisire sicurezza sulle mie capacità e di gestire alti livelli di stress. Infine, l’aver coordinato il lavoro di diversi laureandi e dottorandi mi ha fornito ottime doti relazionali e di coaching, cruciali nel lavoro che faccio.


Ti penti di qualcosa in relazione al dottorato e alle scelte successive?

No, sono soddisfatta del mio percorso e non tornerei indietro sulla scelte fatte.


Quali consigli vorresti dare a chi sta affrontando il momento della transizione?

Il mio primo consiglio è di non essere spaventati dal cambiamento: se si sente l’impulso a cambiare lavoro o ambito, è meglio mettersi in gioco e affrontare nuove sfide piuttosto che restare dove si è e magari rimpiangere eventuali occasioni non colte. Proattività e adattabilità sono molto apprezzati nel mondo aziendale, che ormai è sempre più fluido e vede quindi in modo positivo percorsi di carriera non lineari.
Consiglio inoltre di non sottovalutarsi ma anzi di valorizzare tutte le esperienze fatte, anche quelle che potrebbero sembrare meno importanti. Aspetti come la supervisione di tesi, le docenze, il coordinamento di board editoriali per la pubblicazione di articoli o la partecipazione come speaker a conferenze internazionali, vengono tenuti in grande considerazione e sono difficili da trovare in profili più convenzionali.
Infine, consiglio a tutti di seguire il proprio cuore nelle scelte che si andranno a fare perché anche se si tratta di vita lavorativa, è importante tenere conto delle proprie sensazioni che spesso ci sanno guidare verso la direzione giusta. Io l’ho sempre fatto e ne sono felice.