STORIE ANFIBIE

 

Una rubrica di racconti personali sulla transizione dall'accademia all'impresa, per sfatare il mito che il PhD sia un pesce buono solo per nuotare nell'habitat universitario: i dottori di ricerca sono anfibi e possono respirare fuori, sulla terraferma del mondo aziendale, proprio come respiravano dentro le acque della ricerca.

 

 

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09
Giugno

Storie Anfibie

ANTONELLA BELFATTO | Ingegneria Biomedica

09 Giugno 2020

Innovation Manager di Find Your Doctor

Dopo una laurea in Ingegneria Biomedica, Antonella ha ottenuto il titolo di dottore di ricerca in Biomedical Engineering presso il Politecnico di Milano nel 2017. Grazie all’esperienza acquisita durante il dottorato e il successivo periodo come ricercatrice sia presso il Politecnico di Milano che presso il CNR, si è specializzata in particolare nella modellistica di sistemi biologici e ha acquisito competenze in Machine Learning, Deep Learning, Image Processing, Data Analysis, applicati in particolare a progetti di ricerca in ambito biomedicale. Dal 2019 lavora presso il Consorzio per il Trasferimento Tecnologico C2T, svolgendo attività di consulenza e ricerca e occupandosi della gestione di progetti di ricerca e sviluppo sia interni che esterni, in particolare in ambito biomedicale e Industria 4.0.

 

Perché il dottorato e come è stato?

Sono nata a San Benedetto del Tronto, nelle Marche, e lì ho frequentato il liceo scientifico con sperimentazione informatica. Mi hanno sempre appassionato le materie scientifiche; nonostante questo, al termine delle superiori, avevo molta confusione su cosa volessi fare da grande: un attimo accarezzavo l’idea di diventare un medico, il successivo di fare l’accademia d’arte o magari studiare lingue orientali. Quando sembrava ormai deciso che avrei fatto Medicina a Roma, documenti per l’iscrizione alla mano, ho scombinato tutti i piani e ho scelto Ingegneria Biomedica a Milano. È stata una decisione arrivata all’improvviso; a un paio di settimane dall’inizio delle lezioni, sono andata al Politecnico e mi sono sentita al posto giusto al momento giusto, ho smesso di preoccuparmi di pro e contro di ogni opzione e mi sono buttata. Quella è stata la prima di una serie di decisioni che ho preso fidandomi del mio istinto, a volte stravolgendo i programmi precedenti, che mi hanno portata dove sono oggi.
Terminata la triennale, ho scelto di proseguire sempre in ingegneria biomedica con il percorso a indirizzo elettronico, e, per la tesi finale, mi sono ritrovata a partire per Houston negli Stati Uniti per un progetto legato alla modellizzazione di sviluppo tumorale e risposta alla radioterapia. È stata in questa occasione che per la prima volta ho pensato al dottorato. Ho avuto la fortuna di conoscere menti brillanti e persone con grandi conoscenze e capacità, le ammiravo e mi sentivo una bimba in confronto a loro, quindi inizialmente non pensavo di essere all’altezza di seguire le loro orme, eppure più lavoravo assieme a loro più mi entusiasmavo e mi venivano nuove idee per proseguire la ricerca. I miei supervisori sono stati contenti dei risultati, tanto che il prof. Garbey, mio referente a Houston, mi ha chiesto di presentarli in una conferenza a Boston e sia lui che il mio referente italiano mi hanno suggerito di proseguire nella ricerca.
Anche in questo caso sono stata a lungo in dubbio su cosa fare, avrei potuto rimanere all’estero, ma l’affetto che mi lega alla mia famiglia, al mio Paese e alle persone con cui ho creato forti legami nel corso del tempo, insieme alla possibilità di collaborare con un prestigioso ospedale milanese, mi hanno spinta a tornare e proseguire con un dottorato al Politecnico. Non ho però rinunciato a tornare in Texas, questa volta a Dallas, in cui ho trascorso sei mesi per portare avanti una collaborazione con il gruppo del dr. Mason (University of Texas Southwestern) che mi ha accolta, mostrato come si lavora in un laboratorio e mi ha persino invitata a trascorre il giorno del Ringraziamento con la sua famiglia. Ritengo anche di essere stata molto fortunata ad avere come mentore il prof. Cerveri, sempre molto presente e disponibile, che mi ha insegnato tutto, dal metodo di lavoro, a questioni tecniche legate alla programmazione, a come strutturare paper e presentazioni: sicuramente ha molto influenzato il mio pensiero e il mio approccio ai problemi. Al termine del dottorato ho vinto un premio del Gruppo Nazionale di Bioingegneria per la mia tesi e ho proseguito ancora un anno come postdoc sulla stessa tematica.

Perché hai lasciato l'accademia?

Nel corso dei quattro anni al Politecnico di Milano post laurea magistrale, sono sempre stata assistente nel corso di Neuroingegneria che tratta di metodi matematici quali le reti neurali ed è così che mi sono appassionata al Machine Learning (ML), tema su cui ho iniziato a seguire anche eventi e seminari organizzati da community del settore. Questo mi ha portato a conoscere persone del mondo industriale, startupper e figure ibride che pur avendo la passione per la ricerca la applicavano ad ambiti concreti, e ne sono rimasta affascinata. In quel frangente, mi sono anche trovata a dover gestire le questioni poco filosofiche e molto pratiche legate alla durata annuale degli assegni di ricerca e alla difficoltà di garantire continuità alla ricerca.
Ho fatto un’esperienza di un anno al CNR di Segrate, nel gruppo dell’ing. Giovanna Rizzo, dove ho lavorato su progetti molto interessanti legati all’ambito di riabilitazione motoria e mi sono trovata molto bene sia professionalmente che a livello umano. Nel frattempo ho sempre mantenuto ottimi rapporti con il mio precedente gruppo di ricerca, ho continuato a supervisionare tesisti e a fare seminari e mi è stato proposto di tornare per un nuovo assegno in ambito oncologico. Ero rientrata al Politecnico da appena due mesi quando ho conosciuto il Consorzio C2T e Find Your Doctor ed è stato un colpo di fulmine; da subito ho riconosciuto il valore dei loro obiettivi e condiviso la mission di unire due mondi che non si parlano abbastanza da essere consapevoli di quanto possano supportarsi e alimentarsi a vicenda. È stato come se qualcuno mi avesse aperto la porta su un mondo in cui era realtà ciò che non avevo creduto possibile: fare allo stesso tempo ricerca in un ambiente dinamico, giovane, in una realtà solida con l’obiettivo di trovare soluzioni a problemi di tutti i giorni, ma anche di fare la differenza nella società. Nel frattempo avevo vinto una docenza a contratto in Unimi e ci tenevo a portare a termine quella e altri progetti che avevo in corso; ho quindi sistemato tutte le mie cose in sospeso e, a ottobre 2019, ho salutato il Poli dopo dodici anni per iniziare una nuova avventura.


Com'è andata la fase di transizione?

Il primo giorno di lavoro è stata una terapia d’urto, ero entrata in ufficio da due ore, quando il mio capo diretto ha convocato una riunione, mi ha dato un’infarinatura di un progetto in partenza poi mi ha guardato e mi ha detto: “Ok, da questo momento sei tu ad avere le redini del progetto, cosa facciamo?”. La prima cosa che ho pensato è “Cosa ci faccio qui? Non so nulla! Entro stasera mi diranno che hanno sbagliato ad assumermi e mi rimanderanno a casa”, poi ho fatto un respiro profondo, ho iniziato ad analizzare la cosa, cercare di capire quali informazioni avessi, quali mi mancassero, come le potessi recuperare, cosa potessi fare da sola, in cosa avessi bisogno di supporto e chi potesse darmelo. E da quel momento è questo l’approccio che ho usato per ogni nuova cosa che mi è stata chiesta. Sono passati solo alcuni mesi, ma penso di aver imparato moltissimo osservando i colleghi e mettendomi alla prova, chiedendo supporto in caso di dubbi su come agire o di necessità di supporto tecnico. Nel tempo sono cresciuti i progetti, le responsabilità, ma soprattutto, le soddisfazioni.


Che cosa hai imparato durante il dottorato che ti è utile oggi?

Per quanto riguarda il dottorato, il fatto di aver vinto una borsa ministeriale mi ha dato la possibilità di svolgere il mio percorso in maniera molto indipendente e a cavallo tra ricerca e didattica, due attività complementari che mi hanno fatta crescere molto su aspetti diversi. La ricerca mi ha insegnato a essere organizzata, metodica, a dare risposte solo sulla base di dati trovando fonti attendibili anche quando si tratta di argomenti su cui non sono specializzata. Ho imparato inoltre a relazionarmi con persone più esperte di me o con competenze e background diversi, con cui ho interagito costruttivamente verso un obiettivo comune. La didattica invece, soprattutto nella forma di attività di laboratorio e supervisione del lavoro di tesisti, mi ha insegnato a gestire le crisi, a prendere decisioni e impormi quando necessario, ma anche ad ascoltare i bisogni di coloro la cui crescita accademica è stata in parte una mia responsabilità e a cercare di adattare il mio approccio alle loro esigenze.


Ti penti di qualcosa in relazione al dottorato e alle scelte successive?

Non mi sono mai pentita di nessuna delle scelte fatte, sono molto felice del mio percorso. Certo, ci sono stati momenti di scoraggiamento, ho commesso errori, ho fatto figuracce, ma ho imparato tanto. Sono entusiasta del mio lavoro attuale e il fatto che quasi sempre nella mia storia io mi sia svegliata al mattino prima della sveglia non vedendo l’ora di iniziare la giornata, mi fa dire che per quanto imperfetta, la mia vita sia quella che ho scelto di vivere. Penso anche che sia importante prendere le redini del proprio futuro, uscire dalla propria comfort zone e porsi in maniera positiva e attiva davanti ai cambiamenti. A volte facciamo dei piani, poi cambiano le condizioni al contorno e una strada diventa impercorribile; questo non è necessariamente un male secondo me, avevamo fatto un programma quando avevamo in mano determinate informazioni, ora che siamo andati avanti e abbiamo appreso qualcosa in più possiamo aggiustare il tiro più consapevoli delle nostre capacità, dei nostri limiti e di cosa vogliamo raggiungere.


Quali consigli vorresti dare a chi sta affrontando il momento della transizione?

Un suggerimento sempre valido e non solo per questa situazione, sottointeso dal precedente discorso sui cambi di programma, è di vedere gli ostacoli come opportunità. Inoltre, per non lasciarsi scoraggiare, quando si ha una via impervia davanti suggerisco di fermarsi un attimo a guardare indietro per ricordare quanta strada è stata già percorsa e ricordarsi di cosa si è capaci.
Oltre al non lasciarsi spaventare, il mio consiglio per tutti coloro che vogliono affrontare la transizione è di lavorare su sé stessi. Vedo tanti che, specialmente in questi giorni di mobilità ridotta per via del coronavirus, si stanno dedicando ad acquisire nuove competenze tecniche attraverso corsi online, e fanno benissimo: è importante trovare sempre obiettivi e tenersi allenati, ma penso che sia altrettanto importante approfittare di questo momento per smussare i propri angoli a livello caratteriale. Una cosa apparentemente banale, ma dal risvolto non ovvio, che in questi mesi mi è divenuta sempre più chiara, e che voglio condividere con voi, è che lo scibile umano è vastissimo e non si può sapere tutto. Le nozioni specifiche per un progetto spesso si devono acquisire sul campo, vanno approfondite, rispolverate, o addirittura ricercate fuori dall’azienda attraverso la consulenza (come insegna FYD), ma per entrare nel mondo dell’industria o della ricerca privata, ciò da cui non si può prescindere è un atteggiamento positivo. Se sarete in grado di lavorare con altre persone ascoltando chi ha qualcosa da insegnarvi, rimanendo aperti ad approcci nuovi, creando un ambiente sereno di condivisione di idee, non solo vi verrà riconosciuto da chi sopra di voi in organigramma, ma la vostra esperienza lavorativa sarà molto più piacevole e progredirete velocemente. È importante imparare a bilanciare sicurezza e umiltà: la sicurezza in voi stessi e nelle vostre azioni deve essere sufficiente a non farvi mettere i piedi in testa e a riconoscere il vostro valore, ma c’è bisogno anche dell’umiltà che porta a riconoscere che si ha ancora molto da imparare da chi lavora da anni in azienda e conosce e affronta ogni giorno dinamiche differenti da quelle del mondo accademico. Siate furbi, osservate, chiedete, fate tesoro di ogni cosa, anche degli errori degli altri, e soprattutto, buttatevi… In bocca al lupo!